Una vita piena di contenuto
O della velocità di riproduzione e ciclo di vita dei content creator
Come tanti della mia generazione, alla fine dell’adolescenza, avevo lasciato la città in cui ero nato e cresciuto in una sorta di agoghé accademico-professionale che mi aveva trascinato per le grandi capitali mondiali. Mi sembravano le uniche proiettate verso il futuro, una scelta obbligata, ma questo non mi lasciava indifferente. Mi sentivo una specie di traditore delle mie radici. Oltre al senso di colpa qualcos’altro si insinuava dentro di me: il dubbio che rimanendo avrei potuto ottenere quello che volevo, e forse anche qualcosa di più.
Tornavo a casa solo durante il Natale, festività rinata quando l’enciclica della Papessa Kimberly XXX riuscì a decolonizzare il Presepe — sovvertendo il rapporto di proprietà tra i pastorelli e le pecore aggiungendo quello spin che da tempo mancava alle feste comandate. Durante quelle giornate lente incontravo le persone che sentivo di essermi lasciato alle spalle e che nel frattempo avevano realizzato grandi cose, private e pubbliche. Questo rendeva evidente che non avevo abbandonato nessuno a sé stesso ma semplicemente avevo scelto una strada diversa, più facile. O perlomeno, questo mi raccontavo, dato che percepivo comunque il dovere civico di ricambiare ciò che sentivo di aver ricevuto da questo luogo, in una sorta di relazione transazionale con la mia città.
Mentre queste sensazioni contrastanti si attorcigliano tra di loro all’altezza del mio stomaco, incontro per strada RossanoGamer67, il padre del mio migliore amico delle medie. Mi saluta con apparente simpatia, quella che si riserva a chi associamo a momenti piacevoli. Non era chiaro se i momenti piacevoli fossero quelli trascorsi in mia compagnia o semplicemente quelli trascorsi quando aveva trent'anni di meno, ma a me non costava nulla ricambiare il saluto e anche la simpatia.
Durante la mia adolescenza, Rossano era una figura affascinante per il suo essere precursore del mestiere di content creator. Fu uno dei primi a trascorrere ore di fronte a una telecamera a fare le cose più varie: reagire ai trailer o ai video altrui, commentare le polemiche dell’ultimo secondo e promuovere prodotti o servizi che a malapena comprendeva. Non c’era alcun giudizio da parte mia - quello era un periodo in cui l’idea di una morale unica era considerata reazionaria - perciò mi limitavo a prendere atto dello svolgersi delle cose. Successivamente, quando tornarono di moda i giudizi morali, iniziai a reputarlo un infelice che aveva impiegato il suo tempo per catalizzare il tempo altrui con la scusa dell’intrattenimento. Non avevo un’opinione tanto migliore di chi fruiva dei suoi contenuti.
Tuttavia prevale il senso di colpa nei confronti della mia città natale e di chi, in un modo o nell’altro, aveva contribuito alla mia formazione. Mi sorprendo quando sento che dalla mia bocca esce un invito. Gli propongo di farmi compagnia e prendere una bevanda proteica insieme, ché non c’è niente che faccia più contento uno streamer che dargli un’opportunità di parlare a oltranza. Il suo volto si accende di gioia insperata e facciamo due passi fino ad accomodarci al primo internet cafè, quei luoghi di ritrovo creati appositamente in locali dove non arriva nessun segnale satellitare o fibra ottica.
Il locale è molto accogliente dato che è ricavato dalla rigenerazione di un reparto di ostetricia di uno degli ospedali storici della città. Siamo seduti uno di fronte all’altro in uno dei grossi tavoli grigi in quella che doveva essere stata una sala di accettazione e, dal mio punto di vista, lui rientra nella classica inquadratura da webcam tipica di tanti youtuber. Sarà per quello che si sente a suo agio e attacca a parlare.
Vengo trascinato in una conversazione senza fine, ricca di dettagli su ogni aspetto della sua vita e degli eventi della città, dei pettegolezzi delle celebrità e delle notizie di cronaca che avevo deliberatamente scelto di ignorare. Eppure il senso di colpa prevale e sto lì ad ascoltarlo. Ad un certo punto provo gentilmente ad interromperlo, ma senza successo. Capisco che non riuscirò mai a fermarlo quando inizia a promuovere codici sconto per un vecchio servizio di VPN — ormai totalmente superfluo da quando i principali paesi occidentali avevano liberalizzato la vendita della cittadinanza digitale.
La conversazione diventa sempre più tediosa e inizio a sperare non solo che termini ma che tutti i governi autoritari di questo mondo scarichino il loro arsenale nucleare su questa città. Fortunatamente, durante una breve pausa, ricordo di avere accesso a uno dei più sofisticati strumenti che siano mai stati democratizzati: il tool per modificare la velocità di riproduzione dei contenuti. Decido di usarlo in modo discreto, cercando di accelerare il flusso della conversazione senza che se ne accorga. Mentre parla, regolo il dispositivo, riducendo il tempo delle parole di Rossano a una frazione di quello effettivo.
L’ignaro Rossano è inconsapevole che io lo sto ascoltando a velocità x3, e subito dopo x10, quando inizia a parlare del fatto che i giovani non sono più abituati a fare fatica. Poi ancora x100 quando giunge il momento di ricordare a me, ma in realtà a tutta la generazione a cui appartengo, che il lavoro è lavoro e bisogna farlo a testa bassa. Fino ad arrivare presto a x24000 in occasione dell’invettiva contro l’abbondanza di alternativa e il rimpianto di un fantomatico periodo migliore in cui c’era qualcuno che decideva per te. Quello che Rossano non sapeva è che quella che per me era un’ora di monologo ininterrotto equivaleva a 24000 ore della sua vita. Quindi ogni mia ora corrispondeva a 3 dei suoi anni.
Dopo altre 3 ore percepite di monologo di Rossano, circa 10 anni per lui, le rughe sul suo volto si erano fatte profonde, la sua figura era rimpicciolita a causa del calo di calcio nelle ossa, la parola più confusa, come sempre più confusi e offuscati erano diventati i suoi pensieri. Pur manipolando la conversazione, mi rendo conto che la persona davanti a me sta attraversando un momento difficile nella vita. Scopro così che si sente solo e trascurato, e la sua parlantina sembra essere un tentativo di colmare quel vuoto.
Rallento la velocità di riproduzione fino a tornare a un innocuo x2. La pelle del viso è ormai ricoperta di macchie cutanee ma la voce, per quanto roca e debole, continua a parlare senza sosta. Io ricomincio ad ascoltarlo, curioso di sapere dove era andato a parare, “E comunque il nostro declino è iniziato quando Valentina Ferragni ha incastrato la sorella falsificando la firma del contratto Balocco…“ e con convinzione inattesa premo velocità di riproduzione x48000.
Interrompo nuovamente l’uso del dispositivo quando capisco che oramai non gli rimangono che pochi istanti di vita. “Scusa, mi sento stanco. È il caso che torni a casa” e con le ultime forze percorre il corridoio sopra cui è appeso un cartello con la scritta “malati terminali“. Dopo un recente dibattito nella maggioranza di governo, il mio paese aveva esteso l’età pensionabile così in avanti da donare di fatto l’immortalità ai dipendenti a tempo indeterminato— lasciando così la morte un lusso appannaggio esclusivo di partite IVA e pensionati prima della riforma MechaFornero 2.0.
Dopo quel giorno non vidi più Rossano. Da conoscenti seppi che era morto rimpiangendo il tempo sprecato, in una strana forma di contrappasso.